1Il grosso volume che - come ci è stato detto - raccoglieva finalmente tutti gli scritti di Jerzy Grotowski in Polonia, viene pubblicato in Italia in quattro sottili volumi. Dopo questo primo, seguirannoTeatro povero(1965-1969);Fuori dal teatro(1970.-1982.) eL'arte come veicolo(1984-1998). Sebbene vi sia molto materiale di grande interesse in questo ricco prosieguo, l'attenzione è inevitabilmente focalizzata su questa prima raccolta di scritti, che ci consegna Grotowski negli anni meno conosciuti della sua ascesa e formazione. Per noi italiani, infatti, l’approccio alle teorie del maestro polacco comincia più o meno da dove finisce questo volume, ovvero da quanto ci è stato tramandato inChe teatro povero, pubblicato da Bulzoni nel 1970 e tratto dal libro di Eugenio Barba,Alla ricerca di un teatro perduto(Marsilio, 1965): cioè dal consolidamento dell'attività del Teatra delle 13 File di Opole, iniziata all'inizio degli anni Sessanta.
2Tra l'altro per tutti coloro che cercano il leggendario nella nuova edizioneChe teatro poverodovrà recuperarlo (in parte) raccogliendolo in un altro volume dopo averlo diviso in diverse parti. Ciò non convince perché questo testo conserva la sua forza di irradiazione evangelica o, per così dire, di coerenza didattica e, nonostante la sua indubbia articolazione composita, rimanelibro dell'autore, ma è così: la scelta della purezza o dell'essenzialità è scelta; come l’incapacità di questo primo volume di fornire un quadro più approfondito di commento sui singoli contributi di Grotowski che in alcuni casi sembrano decontestualizzati dal quadro storico. Fatte queste poche premesse, è doveroso premettere che siamo di fronte ad una grande opera, ottimamente tradotta da un'esperta del calibro di Carla Pollastrelli e editorialmente ammirevole.
3VolantePossibilità di teatro, la prima sorpresa per chi ha conosciuto Grotowski come affascinante conferenziere, ma soprattutto lo ha letto attraverso gli editoriali dei suoi vari scrittori e intervistatori, è scoprire in lui l'entusiasmo giovanile di uno scrittore. In questo primo volume ci sono diari di viaggio che mostrano la curiosità e la vivacità di quasi tutti i viaggiatori del XIX secolo o il romanzo di Karl May (non sorprende che venga menzionato a p. 62), inoltre si riferiscono a paesaggi piuttosto esotici. Oltre al pittoresco, a volte vengono rivelate visioni personali in queste opere e inTra Iran e CinaGrotowski racconta ad esempio: «Nel 1956, durante il mio girovagare per l'Asia centrale, [...] un vecchio afghano di nome Abdullah [...] mi mostrò una "pantomima del mondo", tradizionale nella sua famiglia. Poi, trasportato dal mio entusiasmo, mi raccontò il mito della pantomima come metafora del “mondo”. "La pantomima è come un grande mondo, e un grande mondo è come una pantomima". Allora mi è sembrato di ascoltare i miei pensieri. La natura – mutevole, in movimento e allo stesso tempo eternamente unica – assume nel mio immaginario sempre la forma di un mimo danzante – unico e universale – nascosto sotto il chiarore della molteplicità di gesti, colori e smorfie della vita” (p. 61).
4Già qui possiamo intravedere le proposte che attraversano i programmi per le prime rappresentazioni di Teatra delle 13 Fil:Orfeo(str. 171);Pollo(p. 178): una percezione vorticosa e collettiva dell'esistenza e della realtà cosmica, che invita a guardare verso i teatri asiatici, dove "il rito [...] ha identificato la danza, la pantomima e la recitazione"; dove la rappresentazione è sostituita dalla danza, forma superiore, diremmo, dipresenzaritmico (p. 193). Negli anni di Opole, Grotowski sottolineerà, non a caso, che «il teatro è l'unica arte che abbia il privilegio di 'ritualizzare'» (p. 198) e quindi di espressività vitale, gravida quanto stilizzata e mai illusionistica: « Ciò che c'è di artistico, ciò che è arte è artificiale (ex nomine)» (p. 241). L'incisione dell'opera del 1959 sotto il titolo è in questo senso brillanteCos'è il teatro?: «Un'opera d'arte è manifestazione di un confine labile. E proprio in questo è racchiuso il potere purificatore dell'arte, in quanto l'arte non è un racconto che vuole essere oggettivo, ma uno sguardo soggettivo, uno sguardo umano che comprende ogni tipo di danza – affascinante nel suo orrore e nella sua bellezza. È un «ritorno» all'unità» (p. 156).
5Sto cercando di trovare le previsioni di Grotowski in questi articolimaggioreNon rimarrete delusi. Già il primo articolo del 1954 (p. 25 ss.), scritto per la rivista della State High Film School di Łódź, sulle azioni fisiche di Stanislavskij, sembra essere collegato alla conferenza grotowskiana della metà degli anni Ottanta all'Hunter College di New York, menzionato da Thomas Richards nel suo libro del 1993.
6Così, già nel 1955, Grotowski accarezzava l'utopia del “teatro delle grandi emozioni”, per il quale “occorre innanzitutto la grande letteratura romantica” (cioè i romantici e iFrazioneShakespeare) (p. 42), che caratterizzerà in seguito i cartelloni pubblicitari di Opole. Sempre a partire dal 1955, rivela uno spiccato interesse per il cabaret ("molto allegro e lirico, molto allegro ed eroico, molto modesto e molto artistico") (p. 33 ss.), chiaramente inteso come luogo di contraddizione o dilaboratorio,si potrebbe dire quella che Tadeusz Kudliński definirà più tardi una peculiare “dialettica di scherno e apoteosi” delle rappresentazioni di Grotowski (p. 219). Molto precoce è anche l'attenzione di Marcel Marceau e Gilles Ségal per il mimo, che nel 1959 portò il regista a pensare alle dinamiche corporee in "pure forme astratte", che comprendono una sorta di scenografia umanapovero(str. 127 ss.).
7Se tutto ciò può sembrare normale e prevedibile alla luce dello sviluppo degli eventi, lo stesso non si può dire del rapporto di Grotowski con la cinematografia, che, almeno in gioventù, appare tutt'altro che superficiale. Profeta del teatro nettamente separato dai media, segue da vicino Carné, Cayatte, Chaplin, Olivier (e il suo Amleto), Fellini e Bergman; James Dean daGioventù sprecataera affascinato dalla “questione dei ventenni nel 1958”, un problema generazionale che, a suo avviso, va respinto in toto nella forma di un rinnovato umanesimo (pp. 122ss.). Anche nel programma da camera per la sua regiaZio Vanja(1959), Grotowski cerca di stabilire un parallelismo storico tra la cinematografia (con una specifica tecnica di montaggio) e la nuova arte della regia. Sembra che Grotowski sia già convinto che la specialità del teatro sia il "contatto dal vivo, che non si trova nel cinema e nella televisione" (p. 138), ma le speculazioni sui media non sono solo negative, ma incoraggianti e, tra l'altro, . in quella luce, forse dovrebbe leggersi l'affermazione: "La morte del teatro nella sua forma attuale, del teatro come "arte attuale", sembra inevitabile", dato che il teatro ha l'opportunità di rinascere e diventare un "nuovo ramo del arte", diventa un "neoteatro" (pp. 149-150).
8Nella nebbia – per nulla confusa – delle pulsioni e delle aspettative giovanili, il “neoteatro” si configura come il germe del futuro teatro povero, ma sempre all’insegna delle aspettative, nella sfumatura, in questi scritti si può addirittura rintracciare che il platonismo , diffidente nei confronti di incantesimi e trucchi artistici, secondo l'illusione estetica, che porterà in realtà Grotowski alle sue più importanti realizzazioni e alla radicale teorizzazione di scritti comeRiposo(1970-72). Nel 1958 Grotowski composeInterviste a Helsingør, in cui si legge: "Il mio teatro non si piega agli applausi. Nel mio teatro le pulsioni non sono artificiali, le lacrime non sono finte, il pathos non è patetico, perché sono utili'. Al teatro sciolto nell'"istrionismo, nell'umiliazione" si contrappone il "teatro del Graal ritrovato", e "Trovare il Graal" significa "andare oltre i limiti e la fragilità dell'egocentrismo - verso gli altri, verso la natura, consapevoli dell'unità universale". , la cui più alta e preziosa espressione di giustizia, di compassione e di aiuto all'uomo» (p. 103 ss.).
9Un altro intervento, la lettera di Grotowski a una rivista del 1959 – nata dalla tournée polacca di Piccola a Milano l'anno precedente conIl servitore di Arlecchino di due padroni– ripete questa riga (pp. 153-154). Ora "neoteatro", cioè qualcosa che "si basa su forme dirette di dialogo tra scena e pubblico, un dialogo centrato sui problemi fondamentali del destino umano, sulla ricerca di significato, sulla speranza, sulla libertà dalla paura della morte.", si oppone al "teatro di intrattenimento", cioè "spettacolisecondocommedia dell'arte Teatra di Milano, famosa in Polonia" - "magnifiche" commedie, certo - ma che possono suscitare interesse "una sola volta", tanto più perché in esse si annida il rischio dell'""intrattenimento"" che solletica i più duri gusto del pubblico». Ciò che Grotowski è arrabbiato, infatti, per il «divertimento assoluto» del genere commedia dell'arte, di per sé (senza alcun vero scopo)»; in breve: l'autonomia dell'arte, che per lui deve essere invece eteronomo e apparentemente addirittura finalizzato alla dissoluzione della paura più alta e antropica, quella della morte, che il regista - malato cronico fin dalla giovinezza - deve aver soggettivamente sofferto e probabilmente combattuto primariamente attraverso la sublimazione teatrale.
10Dopo questa breve rassegna, può sembrare che una lettura più diretta di queste scritture possa portare ad una fruttuosa identificazione di molte predizioni, con la parallela conclusione chegrandeGrotowski era sostanzialmente nel suo principio. Vero, ma parzialmente o solo con una certa angolazione. In effetti, potremmo anche ribaltare la situazione così facilmente perché a un certo punto nei primi scritti sentiamo che c'è qualcosa di più e qualcosa di estremamente significativo in meno rispetto al quadro storico consolidato che abbiamo di Grotowski.
11Un elemento abbondante qui è il richiamo all’umanesimo; ciò che quasi manca è il parallelo pessimismo, lo gnosticismo, l'interesse sfrenato per la "pornografia spirituale" delle "scienze occulte" e dei saperi tradizionali, come ha sottolineato Ludwik Flaszen (cfr.Grotowski & Company). Al contrario, Grotowski, che appare nella stragrande maggioranza di questi documenti, si presenta senza ombra di dubbio come un illuminista, un ottimista, un democratico, allo stesso modo di un comunista alla Dubček.
12Che tanto progressismo sia una sorta di (ovvio)malattiagioventù? C'è qualcosa di più complicato, secondo noi.
13Anche il cabaret Grotowski lo intende come esaltazione della “nostra gioventù rossa”, in nome dei più feroci ideali rivoluzionari e come antidoto al “torpidimento piccolo-borghese” (pp. 33-34). Diversi (e ripetuti) sono poi gli interventi nel libro, dove il regista dal 1957, militante nel gruppo giovanile antistalinista della Sinistra universitaria, si batte "per il socialismo umano, per il socialismo in condizioni di libertà. e per la democrazia, il socialismo senza crimine e senza processi alle streghe, senza terrore poliziesco” (p. 72), mostrando allo stesso tempo un violento anticlericalismo e riferendosi positivamente a Lenin (p. 77; 79), scelto come la bizzarra divinità custode del “socialismo basato sul democrazia e libertà, sull’umanesimo”.
14In questo quadro si inserisce anche la complicata lotta del giovane Grotowski contro l’estetica del regime:eseguiresocialista (e non). Nell'opera del 1955, "la ricchezza dell'arte del realismo socialista" consisterà "nel fatto che, nel suo orientamento generale, c'è bisogno e spazio per rappresentazioni teatrali individuali" (p. 39). D'altra parte, contro la forma del realismo borghese, Grotowski si dedica a una visione: una visione di "composizione audace dell'azione scenica, in un ritmo espressivo, in un suggestivo gioco di luci e colori, in un'architettura scenica sintetica, assecondando il movimento degli attori» (p. 40). In Grotowski l'idea di "provocare una buona sensazione nello spettatore" è già presente attraverso una sorta di sintesi tecnica, cioè l'uso di "punti di svolta, passaggi emotivi culminanti: metafora, generalizzazione, monumentalizzazione", al fine di a "comporre l'azione scenica e il suo nucleo - il conflitto dei personaggi - in modo laconico, conciso, compatto, con una scelta dei mezzi assolutamente mirata" e un attore che sviluppi un "carattere convincente, sincero" (p. 44) . Nella sua tesi di master all'Accademia d'Arte Drammatica di Cracovia, Grotowski precisava che "il culmine dell'arte della recitazione sta nella composizione della vita" (p. 52).
15Il fragoroso riferimento al socialismo umanistico ha indubbiamente delle conseguenze sulla concezione stessa del nuovo teatro, tanto che in un pezzo del 1958 si legge: "Le esperienze difficili e spesso tragiche del XX secolo creano l'esigenza di un teatro che - senza mentire, senza fuggire dai problemi, anche quelli più spinosi – dà all'uomo speranza, coscienza etica e sociale, teatro che restituisce senso all'esistenza» (p. 107). Va aggiunto che anche nei successivi testi dell'Opole In questo periodo si può tracciare la strana distanza di Grotowski dal «fondo filosofico junghiano» (p. 218), mentre le nozioni gnostiche sembrano solo timidamente accennate (p. 222).
16Sarebbe sbagliato a questo punto leggere questi articoli sia come documenti oggettivi sia solo nella loro attuale prospettiva profetica: esiste un terzo livello. Sono i testi chiave che dicono e omettono; cioè espresso nel linguaggioLeonee davolpe, uno dei tanti "incroci razziali" nella Polonia comunista - secondo la testimonianza di Flaszen (SU. sensazione., p. 53) – “evento comune” e assolutamente necessario per la sopravvivenza. Sempre Flaszen (ibid, p. 37) descrive bene l'atmosfera "nel 1956 - e dopo...", cioè "la data registrata negli annali della Polonia e del mondo comunista come la fase della prima crisi del regime, seguita dalla liberalizzazione" o dal "disgelo" post-stalinista ("Ottobre polacco") con le sue fugaci aperture. I testi di Grotowski vanno letti in questo contesto storico di feroci speranze di libertà, che però, alla fine, decisamente deluse, spinsero il giovane regista tra le braccia di Flaszen - «entrambi emarginati o falliti della Rivoluzione polacca d'Ottobre del 1956». - parlare “in confidenza, di bancarotta in bancarotta” e accettare di rinchiudersi in un teatro sperduto di Opole, dove potrebbero almeno sperare in una cospirazione per “rivoluzionare l'arte del teatro” (ivi, p. 64).
17La passione e la sincerità di Grotowski, in questi belligeranti riferimenti al socialismo dal volto umano, sono sincere e autentiche, e il suo cuore batte certamente in sintonia con il momento storico, ma probabilmente mettono in ombra entrambe le avventure intellettuali non menzionate (tanto che l'utopia chiave è la realizzazione dell'uomo "totale", a pagina 248, fu tradotta dal Romanticismo polacco e data a Karl Marx!) e bisogni spirituali ereligiosomolto più intimo.
18Avvicinandoci a scritti adiacenti o legati all'attività svolta dal Teatro delle 13 File di Opole, l'estetica di Grotowski ci diventa sempre più familiare in termini di vocabolario e prospettive, sebbene il libro offra un contributo molto prezioso per illuminare il tema caratteristico della rivoluzione dei registi polacchi.
19Così, ad esempio, il rifiuto di Grotowski della contrapposizione tra teatro e letteratura drammatica appare più chiaro considerando che “il teatro creativo non fonda il suo risultato artistico autonomo non tanto sull'azione quanto sul tema dell'opera letteraria” (p. 108). . concetto confermato nel programma diZio Vanja(p. 133): "...il teatro - senza separarsi dalla drammaturgia, "senza negarla", si sforza allo stesso tempo di liberarsi dalla funzione illustrativa meccanica e servile nei confronti del testo drammatico: si sforza di diventare arte.creativo– sul tema del dramma”. Storicamente interessante in questo senso è un anno prima – in una conversazione con Jerzy Falkowski – il riferimento alla lezione di Jean Vilar, circa “l'uso dei testi classici per rivelare i conflitti del mondo moderno” (pag. 112).
20Già il 24 maggio 1959 (p. 147) troviamo a Opole un programma programmato come "I sogni del regista": soloPrometeo legatoeFaust, alla fine non ne faranno parte, ma ci sonoProdotto,Frazione,Shakuntala,idiota: "... oso sognare un teatro dedicato esclusivamente all'arte contemporanea di attori, registi, drammaturghi polacchi", ha aggiunto Grotowski. Diversi i riferimenti, nei primi anni di Opole, a sperimentazioni nel senso di una sorta di teatro ingenuo con l'adozione programmatica dell'"infantilismo cosciente" (p. 201) e l'esplicitazione della ricerca quasi alchemica (o balzaciana?) sull'"assoluto" teatralità”” (p. 205), capace di attingere al “mistero farsesco” (p. 202) e di incoraggiare “un ritorno al rito teatrale, al gioco teatrale, quasi al cabaret” e al “rito laico, parodistico” (p. 211- 222).
21Altri fili che si collegano chiaramente all’immediato passato ne fanno luce. L'attenzione al gioco implica quindi "una sorta di gioco condiviso, non solo qualcosa di allegro, divertente" (p. 232), e di conseguenza (attraverso la conversazione centrale con Gurawski e Flassen) ha "la ricerca del teatro come 'dialogo ' tra il palco e la sala" (p. 188), il che implica che il sistema di collocazione di attori e spettatori non è il vero problema, "ma il corrispondente principio della messa in scena, la creazione di una "azione" congiunta per spettatori e spettatori …attori.” (p. 240).
22L’ultimo pezzo del 1964 – una conversazione dal titolo significativo,Teatro: un'ora di disordini– contiene un'istruzione che potrebbe saldare un circuitoanno di apprendistatogrotowskiani: «La performance deve essere musicale, ma la recitazione dell'attore deve essere musicale. Una grande esibizione è sempre in parte musica e in parte danza» (p. 246). Il trampolino di lancio per nuove avventure era ormai saldamente alzato.
23L'impressione finale ricavata dal segmento di vita documentatoPossibilità di teatroè soprattutto Grotowski che trae impulsi creativi dalla propria angoscia esistenziale, dalla propria lotta con la morte e le forze mortali. Sul piano professionale incontriamo un regista dalla spiccata formazione accademica (cfr. p. 162 ss.), che si affida ai grandi maestri russi e ad alcuni influenti modelli polacchi (Osterwa e Leon Schiller) (p. 99) nella sua le performance maturano con costante coerenza quasi organica. Sì, il genio della scena – l'Heidegger del teatro – che si sviluppa in linea retta, se non dritta, sempre in una direzione logica. Ma molto di ciò che viene espresso in questi brani giovanili non solo è umanamente mascherato e parziale, ma è anche scritto in un codice di omissione, e chi si cimenta in questa lettura deve esserne consapevole e con gratitudine riceverlo, offrirlo, immaginarlo o integrarlo. che è altrettanto silenzioso. Qui non abbiamo lo specchio della giovinezza di Grotowski, ma il volto della sua luna.